Buona sera... Oggi abbiamo fatto la visita dall'urologo, Dott. Breda... Una buona e una cattiva notizia.
La buona notizia è che papà non dovrà mettere il catetere, almeno dal punto di vista psicologico questo aiuta a pensare positivo: invece di cadere in pezzi, e di avere piano piano gli organi che non funzionano, sembra che ci sia l'illusione di una simil normalità.
La cattiva notizia è che il rene non è funzionante, che sembra si sia atrofizzato e che sia in quella situazione da più tempo di quel che si supponeva ieri, quindi ci rimane solo da sperare che l'altro continui a funzionare come si deve. E secondo loro (primario e viceprimario) è ben più urgente "altro" che non pensare a questo rene. Domani però andremo a sentire il parere del primario di un altro ospedale che già aveva seguito papy.
Insomma, tirando le somme... mi sento un pò sballottolata: l'oncologo dice che dobbiamo andare dal chirurgo, il chirurgo ci rimanda dall'oncologo, l'oncologo ci manda dall'urologo il quale rimbalza la palla al chirurgo e all'oncologo... boh... Mi sa mi sa che non vogliono (o non possono?) fare proprio niente. Da profana quale sono, mi sono messa a leggere punto per punto i risultati della TAC e devo dire che, grazie ad internet (o per colpa di internet) si capisce perfettamente che una nuova operazione alla pancia sarebbe da kamikaze.......
Ho anche chiamato una mia amica, Michy, che si è laureata in medicina a Padova, per avere qualche notizia in più su Bronte... alla fine mi ha dato il nome di una brava dottoressa che pratica la terapia antalgica cioè del dolore... Almeno sarò pronta, quando vedrò che per il dolore l'Aulin non basterà più.
Stasera mi sono detta: di sicuro troverò qualche bella notizia che mi tira su il morale, invece...
Da sempre ritenute estremamente rare, nel melanoma sarebbero invece una su quattro le cellule in grado di dare luogo ad un tumore
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Potrebbero essere molto più numerose del previsto le cellule-canaglia, le staminali tumorali che, da sole, possono dare luogo ad un tumore. Almeno in certe neoplasie. Lo suggerisce uno studio apparso sull’ultimo numero di Nature che avrà importanti implicazioni sul promettente filone di ricerca, aperto da alcuni anni a questa parte, sulle terapie mirate contro le cosiddette cancer stem cell.
NEMICO NUMERO UNO - Le staminali tumorali sembrano avere la capacità di proliferare in maniera aberrante, producendo cellule tumorali «figlie» e alimentando così la crescita neoplastica e le eventuali recidive, che sono possibili quando anche una sola staminale tumorale sfugge alla rimozione chirurgica e sopravvive alle cure chemio e radioterapiche. Facile capire come identificarle e neutralizzarle con farmaci mirati sia diventato un obiettivo cruciale di un importante segmento avanzato della ricerca anticancro.
RARISSIME? NON SEMPRE - Già localizzate in varie forme di tumore, fra cui i gliomi cerebrali, i tumori di seno, colon, ovaio, polmone, fegato e alcune forme di leucemia, le staminali del cancro sono finora state descritte con alcune caratteristiche distintive, tra le quali il fatto di essere estremamente rare, e proprio per questo particolarmente difficili da identificare. In generale, si stima che siano fra una su 5mila-20mila cellule. Ora una ricerca del Center for Stem Cell Biology dell’università del Michigan ha ridimensionato questo modello, dimostrando che, almeno nel più aggressivo fra i tumori della pelle, il melanoma, le cellule potenzialmente in grado di formare una neoplasia non sono rare, anzi, sono addirittura il 25 per cento del totale. I risultati sono emersi da una serie di esperimenti su topi nei quali erano state trapiantate cellule di melanoma. Tutto ciò, hanno spiegato gli autori dello studio, non butterà all’aria l’intero modello delle staminali tumorali. Queste cellule - ormai è assodato - esistono in varie forme di cancro, ma «probabilmente sono molto più comuni di quanto avessimo stimato - ha commentato Sean Morrison, direttore del laboratorio statunitense -. E alcune forme di cancro, come il melanoma, nelle quali molte cellule sono tumorigeniche (cioè possono avviare la proliferazione tumorale, ndr) non potranno essere trattate colpendo un sottogruppo ristretto di cellule».
UNA BIOLOGIA COMPLESSA - Dati molto interessanti, ma nessuna rivoluzione, secondo Angelo Vescovi, condirettore dell'Istituto di ricerca sulle cellule staminali del Dibit presso l’Istituto San Raffaele di Milano e professore di biologia applicata all’università Milano Bicocca. «Nel caso del melanoma, già si sapeva che circa un terzo delle cellule hanno la capacità di formare un clone in vitro, ovvero che ciascuna di esse è in grado di formare un tumore. Con altri tumori, invece, gli indici sono più bassi» spiega l’esperto. Un merito indiscusso dell’indagine di Morrison è colleghi è quello di avere ancora una volta gettato luce sulla complessità della biologia tumorale. «La staminalità non pare neppure essere una caratteristica costante, ma alcune cellule, in determinate condizioni, la possono esprimere. Nei tessuti sani, le staminali sono circa lo 0,1 per cento del totale delle cellule, ma sono molte di più nei tessuti neoplastici (d’altra parte la caratteristica di una cellula tumorale è proprio quella di replicare se stessa senza controllo)».
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COMUNQUE NECESSARIO IDENTIFICARLE - Cosa cambierà per chi fa ricerca in questo campo? «Può mutare l’angolo di attacco, ma l’obiettivo resta lo stesso. Se nel melanoma le staminali tumorali sono una su quattro, significa in ogni caso che tre su quattro non c’entrano con la genesi del cancro. Per sviluppare una terapia, allora, contro quali si dovrebbe puntare? Chi colpire, la popolazione civile o il nemico armato? E’ ovvio che le cellule tumorali vanno tutte studiate e che un approccio unico per tutte le forme di cancro non esiste, ma il target principale restano loro, rare o infrequenti che siano, comunque una minoranza particolarmente pericolosa». Certo, però, le staminali sono sempre state definite «rare». «E’ secondario. Vogliamo cambiare il nome? Allora chiamiamole in un modo qualsiasi, il migliore mi pare tumor-initiating cell, cellule che possono avviare un tumore».
SPERIMENTAZIONI IN CORSO - Attualmente tutte le terapie anti-staminali tumorali sono alle prime fasi di studio in varie parti del mondo. Diversi laboratori, anche italiani, percorrono la pista dei vaccini terapeutici. La società farmaceutica Oncomed ha avviato le prime sperimentazioni (fase I) sull’uomo per valutare la sicurezza dell’anticorpo monoclonale OMP-21M18. Un’altra strategia è quella di ricondurre alla normalità le cellule “impazzite”, senza eliminarle. E’ il filone di studi inaugurato dalle sperimentazioni sulla proteina BMP4, coordinate proprio da Angelo Vescovi. Testata in vitro e su animali, la proteina, già usata per stimolare la crescita di cellule nei tessuti ossei, si è mostrata in grado di spegnere la proliferazione neoplastica, riconvertendo le staminali tumorali in cellule nervose più differenziate e dunque innocue. «Ci vorrà ancora tempo per passare, come si dice, from benchside to bedside, dal laboratorio ai malati – spiega Vescovi –. Siamo partiti da pochi anni, ma sappiamo che altre proteine lavorano in maniera analoga e il potenziale impatto terapeutico di queste ricerche è enorme».
Donatella Barus
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