L'altra notte ho fatto un sogno bruttissimo, un incubo, per essere più precisi. Uno dei miei soliti, sulla malattia che ci ha colpiti. Ho sognato che si ammalava anche mio zio, fratello di mio papà, al colon, in quanto aveva preso sottogamba l'ereditarietà della probabilità di sviluppo di questa malattia. Mi sono svegliata agitata, in ansia, perchè sebbene non ci siano questi grandi rapporti, è pur sempre mio zio e papà tiene molto a lui. Mi spiego meglio. Papà ha 4 sorelle e 1 fratello. I miei nonni paterni sono entrambi morti per tumore, mio nonno sembra per problemi al fegato/pancreas, mia nonna non ricordo, ero piccola, ricordo solo che ha sofferto moltissimo... Ora, tutte le sorelle di papà hanno dei polipi, due in particolare, tra cui mio zio, soffrono di poliposi adenomatosa. La cartella clinica della famiglia di papà è ora al vaglio del dottor (appena lo ricordo lo scrivo), che si interessa di questa familiarità sia a Verona che a Londra. A volte penso che se l'avessimo saputo prima, forse saremmo riusciti a prevenire la cosa. Mio zio, infatti, vuole farsi operare (chirurgia profilattica) per asportare quel tratto di colon soggetto alla creazione sovrabbondante di polipi. Spero che lo faccia presto. Lo spero per i miei cugini, suoi figli, perchè quello che sto vivendo io è un incubo senza fine che vorrei evitare loro.
C'è un'Associazione per lo studio della familiarità ed ereditarietà dei tumori gastrointestinali (Aifeg) che afferma che il 5% dei tumori del colon sia legato a mutazioni genetiche trasmissibili, ma in gran parte identificate e, perciò, riconoscibili in anticipo e individuabili con test genetici mirati che inoltre, possono farci comprendere meglio i meccanismi molecolari delle neoplasie intestinali proprio studiando le patologie ereditarie che predispongono alla loro insorgenza.
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ANOMALIE GENETICHE A RISCHIO - In particolare, sono due le malattie legate a doppio filo con il rischio di carcinomi colorettali.
La prima, la poliposi adenomatosa familiare (Fap), insorge presto, intorno ai 25 anni d’età, e si manifesta con la comparsa di un numero notevole di adenomi. Si tratta di centinaia o perfino migliaia di polipi che, se lasciati evolvere senza intervenire, prima o poi si trasformeranno in tumori maligni. Nella maggior parte dei casi la malattia è dovuta all’alterazione di un gene chiamato Apc, trasmessa con carattere «autosomico dominante», vale a dire che il figlio di un portatore avrà il 50 per cento di possibilità di ereditare la mutazione. In casi più rari, invece, è coinvolto un altro gene (Myh) e la trasmissione è recessiva (si può ammalare soltanto il figlio di due genitori entrambi malati o portatori della mutazione).
La seconda patologia da tenere sotto stretta sorveglianza è il tumore ereditario non poliposico (Hnpcc) o sindrome di Lynch, che compare in genere sui 40 anni di etá. Si manifesta con un numero ridotto di polipi, particolarmente soggetti, però, ad una degenerazione maligna. Si trasmette attraverso le generazioni con modalità dominante.
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QUALE PREVENZIONE - La familiarità, ovvero una ricorrenza anomala della stessa patologia fra consanguinei, è il primo campanello d'allarme per cui rivolgersi a uno specialista, che poi valuterà se è il caso o meno di consultare un genetista. In quel caso, verranno eseguiti test che permettono di scovare le mutazioni genetiche ereditarie. Così sarà davvero prevenzione mirata.
Per questo è importante la ricerca e la caccia agli "errori" nel DNA. Scrive Donatella Barus: l'esame del DNA potrebbe permette di capire se una persona ha più probabilità di sviluppare un tumore. Sempre più spesso, negli ultimi anni, si perfezionano metodi per verificare se un individuo è o meno portatore di mutazioni che aumentano le probabilità di sviluppare un certo tipo di tumore.
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"Il nostro lavoro è quello di dare alle persone le informazioni utili per comprendere la situazione e fare le scelte più ragionevoli per la propria salute", dice la genetista Liliana Varesco, responsabile del Centro Tumori Ereditari dell’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro (ISTGE) di Genova. Solo una minima parte delle numerosissime forme di cancro può dirsi realmente ereditaria. Dietro ad una malattia tumorale ci sono sempre mutazioni di geni (ossia di frammenti di DNA), che si verificano nel corso dell’esistenza, per svariate ragioni, sotto l’azione di fattori chimici (come il fumo di sigaretta, il consumo di alcolici, la mancata attività fisica, una dieta ricca di grassi e calorie e a basso contenuto di fibre ) o fisici (come le radiazioni). "Ma solo in un numero ristretto di casi – spiega Liliana Varesco – ci troviamo di fronte a particolari alterazioni di singoli geni che sono ereditabili, cioè trasmissibili ai figli, e che comportano un rischio più elevato, rispetto alla media, di sviluppare uno o più tipi di cancro". Né una componente genetica, né una familiarità, dunque, sono sufficienti a definire come ereditaria una malattia tumorale, e questi termini non vanno utilizzati come sinonimi. E’ vero, però, che la ricorrenza di casi in parenti di primo e secondo grado (genitori, figli, fratelli, nonni, zii) è una delle «spie» che sollevano un sospetto e che possono rendere opportuno un test per vederci più chiaro, insieme all’insorgenza del tumore in giovane età (prima di 40-50 anni) e alla comparsa di più tumori indipendenti.
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Il test genetico consiste in un prelievo di sangue e nell’analisi del DNA, che per la sua complessità è molto costoso e richiede alcuni mesi prima di arrivare ad un responso. Chi risulta portatore, inizia un percorso che può prevedere un programma di controlli ravvicinati o, in situazioni particolari e dopo attenta riflessione, alla chirurgia profilattica, ovvero all’asportazione degli organi “a rischio”, come mammelle, ovaio o intestino. «Attualmente – dice Varesco - non ci sono risposte giuste o sbagliate su che cosa si deve fare. Ci sono le scelte più giuste per sé in un dato momento, compiute in alleanza con l’équipe curante e sulla base delle proprie priorità. La rimozione delle ovaie, ad esempio, non ha le stesse implicazioni per una donna di trent’anni e per una di cinquanta».
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Ciò che conta, non si stancano di ripetere gli addetti ai lavori, è sapere che non si eredita la malattia, ma un rischio più elevato di svilupparla. «Quelli che io chiamo “portatori di segnali” - precisa Crotti – non sono pazienti, né condannati. Sono persone sane in condizione di incertezza».
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