giovedì 1 gennaio 2009

Pillole di storia: la nascita della chemioterapia


La chemioterapia consiste nell'utilizzo di sostanze chimiche attive sulla riproduzione cellulare (o in grado di determinare morte cellulare) che agiscono sulle cellule degli organismi superiori, sulle cellule batteriche e sui parassiti. Sebbene più frequentemente usata per la cura dei tumori, la chemioterapia è utilizzata anche per trattare altre malattie come ad esempio la psoriasi, la sclerosi multipla e certi tipi d'insufficienza renale. Si può affermare che la chemioterapia ebbe le sue origini nel primo secolo a.C., quando Dioscoride usò la colchicina per trattare alcuni tipi di tumori in stadio avanzato. Chi coniò il termine di chemioterapia fu però Paul Ehrlich che lo usò per riferirsi all'impiego d'alcune sostanze chimiche contro le infezioni batteriche.

Era il 7 settembre 1909 quando il batteriologo Paul Ehrlich nei laboratori Hocchst sviluppa il SALVARSAN, nome commerciale dell'arsfenammina o composto 606, preparato arsenicato in polvere di colore giallo. Fu il primo chemioterapico che si dimostrò efficace nella cura della sifilide. Il suo impiego è drasticamente diminuito dopo la scoperta della penicillina.Questo farmaco venne sviluppato da Ehrlich sui composti dell'arsenico proprio allo scopo di realizzare chimicamente una sostanza efficace contro una determinata malattia. Fino a quel giorno i farmaci erano derivati esclusivamente da sostanze esistenti in natura; con questo farmaco ha inizio la chemioterapia, ossia la terapia chimica, che avrà poi un enorme sviluppo in questo secolo. Il Salvarsan fu chiesto in tutto il mondo e si usò ampiamente e ripetutamente. Ma alcuni pazienti non sopportavano il farmaco. Era troppo tossico (provocava persistente singhiozzo, vomito, paralisi agli arti e subentrava anche la morte).


Ehrlich aveva già avuto il premio Nobel nel 1908 per le sue ricerche in campo immunologico, ma aveva ancora da sperimentare altre molecole, Nel 1912 nacque il NEOSALVARSAN, molto meno tossico e molto più efficace del precedente. Questo chemioterapico combattè la sifilide fino all’avvento della penicillina negli anni “40.



Ai nostri giorni anche alcuni farmaci inizialmente di origine naturale come gli antibiotici (derivanti da microrganismi come muffe e batteri) sono prodotti nella maggior parte per sintesi chimica o per modificazione della sostanza naturale (antibiotici semisintetici). Nel linguaggio comune corrente “chemioterapia” ha il significato di cura del tumore mediante sostanze tossiche che colpiscono principalmente le cellule malate ed il termine è quasi esclusivamente riferito a farmaci antitumorali.

Un grande impulso allo studio di nuove sostanze antineoplastiche si ebbe dopo la Prima Guerra Mondiale quando un gruppo di marinai fu esposto accidentalmente ad un gas vescicante utilizzato per scopi bellici (detto, a causa del particolare odore, ''mostarda azotata'') e tra loro furono osservati gravi casi di depressione midollare. L'intuizione di usare composti analoghi a quel gas come farmaci antineoplastici diede origine a molti esperimenti che rimasero però segreti fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale. La chemioterapia è stata impiegata nella cura delle neoplasie dalla fine degli anni Quaranta. Inizialmente i farmaci erano impiegati in monochemioterapia con finalità esclusivamente palliative in tumori peraltro già in fase avanzata. I progressi della chemioterapia andarono di pari passo con le acquisizioni in campo biologico circa la natura della malattia cancro e con quelle in campo farmacologico circa le caratteristiche delle molecole impiegate. Fu grazie a tali studi che fu formulata la prima combinazione di polichemioterapia in grado di ottenere una remissione duratura di una neoplasia. Nel 1970 fu pubblicato il primo studio clinico che illustrava i risultati favorevoli dell'impiego dello schema MOPP (mecloretamina, vincristina, procarbazina e prednisone) nella malattia di Hodgkin. Successivamente fu formulata una metodologia scientifica di trattamento dei tumori, che tuttora costituisce il fondamento che dà validità agli studi clinici e sancisce l'efficacia dei trattamenti impiegati. Furono così codificati i concetti di stadiazione all'esordio di malattia, valutazione della risposta clinica e ristadiazione al termine del trattamento. Furono quindi messi a punto numerosi schemi di polichemioterapia somministrati ciclicamente e testati su varie neoplasie.

Rosenberg scoprì che non era la presenza del campo elettrico ad impedire la divisione di batteri, bensì quella dell'isomero cis-[PtCl2(NH3)2]. Egli ebbe il colpo di genio di provare a vedere gli effetti di questo isomero sulle cellule tumorali, che presentavano lo stesso tipo di crescita, e scoprì l'efficacia anti-tumorale provando ad usarlo su di un topo, che dopo pochi giorni guarì completamente. Il farmaco al platino passò alla fase 1, ma a causa dei suoi ingenti effetti tossici rischiò quasi di non essere mai usato, se non fosse stato per due medici americani, i quali lo provarono su tredici pazienti affetti da cancro ai testicoli. La sorprendente ripresa di questi pazienti diede il via libera al largo impiego di questo farmaco nella cura della leucemia.

Non si conosce ancora l'esatta modalità con cui l'isomero cis-platino impedisca la riproduzione e provochi il decesso delle cellule. Quello che è sicuro, però, è che non ci sono molti altri isomeri che hanno la stessa azione.

Sempre negli anni Settanta fu codificato il concetto di chemioterapia adiuvante sulla scorta dell'osservazione clinica dell'evidenza di micrometastasi già esistenti al momento della diagnosi. Negli anni Ottanta gli sforzi sono stati rivolti al tentativo di migliorare i modesti risultati terapeutici ottenuti in certe neoplasie. In particolare, è stata rilevata l'importanza di superare la resistenza delle cellule neoplastiche alla chemioterapia, responsabile delle recidive dopo trattamento o della mancata regressione già alla prima terapia. Sono stati quindi impiegati regimi terapeutici non cross resistenti tra loro ed è stata sottolineata l'importanza di non ridurre le dosi dei farmaci impiegati rispetto al calcolo teorico per non limitare l'efficacia.

Verso la fine degli anni Ottanta sono stati sviluppati i primi studi di chemioterapia neoadiuvante con lo scopo di ridurre le dimensioni delle neoplasie e consentire interventi chirurgici meno demolitivi. Negli ultimi anni il costante aumento dell'incidenza della patologia neoplastica e l'impiego sempre più esteso nelle varie fasi della malattia neoplastica (chemioterapia adiuvante, neoadiuvante etc.) comportano un impiego crescente dei farmaci antiblastici, con implicazioni di tipo protezionistico inerenti al personale addetto alla manipolazione di tali sostanze nonché l'ambiente in cui i rifiuti di questi prodotti siano smaltiti. Tutto il personale del settore, dovrà attenersi a specifiche linee guida per una sicura manipolazione degli agenti antitumorali, al fine di evitare inutili e pericolose esposizioni, attuando in tal modo una sicura ed efficace prevenzione primaria nel proprio ambiente lavorativo.





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