Per marker tumorale si intende una molecola che, in genere, viene dosata nel sangue e la cui presenza è associata ad una neoplasia. Nella tabella sottostante vengono richiamati i markers tumorali più noti.
In realtà la definizione data sopra è fuorviante in quanto i markers tumorali non sono prodotti solamente dalle cellule neoplastiche, ma anche dai tessuti normali oppure affetti da patologie benigne. La differenza tra le varie condizioni è di solito quantitativa, nel senso che in presenza di tumore la concentrazione del marcatore è maggiore, tuttavia possono esistere valori di sovrapposizione fra condizioni benigne e maligne. (esempi)
- Cancro polmonare: TPA, TPS, Cyfra 21.1
- Cancro colon-rettale: CEA
- Cancro del pancreas: CA 19.9
- Cancro della mammella: CA 15.3
- Cancro ovarico: CA 125
- Epatocarcinoma: alfa-fetoproteina
- Cancro differenziato tiroideo: tireoglobulina
- Cancro midollare tiroideo: calcitonina
- Cancro prostatico: PSA
- Catecolamine: feocromocitomaMelanoma: S 100
- Neoplasie del sistema linfoproliferativo: beta 2 microglobulina
- Neoplasie neuroendocrine: cromogranina A
- Tumori testicolari: beta HCG
L'idea che il dosaggio di un determinato marker tumorale possa permettere la diagnosi della neoplasia quando è ancora asintomatica, in modo da intervenire precocemente e quindi aumentare le probabilità di guarigione è molto seducente. Tuttavia vi sono varie ragioni che si oppongono all'uso dei markers tumorali come mezzo di screening. Anzitutto vi è la possibilità che l'aumento del marker richiesto non sia dovuto alla neoplasia, ma ad una patologia benigna oppure ad una situazione fisiologica. In queste condizioni avremo un test falsamente positivo che porterà all' esecuzione di accertamenti diagnostici inutili, tra cui possono essere compresi anche esami cruenti e potenzialmente dannosi. Un falso positivo porterà inevitabilmente anche a conseguenze sulla psiche e sulla qualità di vita del paziente. (esempio)Ma esiste un motivo ancora più importante per cui non si dovrebbero usare, almeno allo stato delle conoscenze attuali, i markers tumorali come test di screening. Infatti un test di screening per essere ritenuto efficace non deve solo essere in grado di diagnosticare precocemente una neoplasia, ma deve dimostrare, con studi clinici randomizzati e controllati, di portare a benefici clinici. Per esempio la diagnosi precoce deve accompagnarsi a possibilità terapeutiche tali da portare ad una riduzione della mortalità totale o almeno specifica e/o delle morbidità legata alla neoplasia. Purtroppo per nessuno dei markers tumorali finora disponibili esistono prove in tal senso. Il caso dello screening del cancro prostatico con dosaggio del PSA è eclatante: per il momento non esistono prove che lo screening riduca la mortalità e/o la morbidità, mentre può portare a sovradiagnosi, vale a dire a diagnosticare tumori clinicamente non aggressivi che non porterebbero mai al decesso del paziente ma che, una volta scoperti, devono essere trattati. E' ovvio che in questo caso si espongono inutilmente i pazienti agli effetti collaterali dei trattamenti senza avere in cambio un beneficio.
Se l'uso di un marker tumorale a scopo di screening in soggetti asintomatici può essere più dannoso che utile, diverso è il discorso quando il paziente presenta dei sintomi. (esempi) Il test deve quindi essere interpretato nel contesto pià generale clinico-laboratoristico- strumentale.
Un altro uso ragionevole dei markers tumorali è nel follow-up di pazienti già trattati per neoplasia, sia per valutare l'efficacia della terapia instaurata sia per scoprire precocemente eventuali recidive. Tuttavia anche in questo campo vi sono molte incertezze. Per esempio è utile scoprire precocemente una recidiva se poi si ha a disposizione un trattamento efficace di seconda linea che sia in grado di ridurre mortalità/morbidità. In caso di un paziente operato di cancro prostatico una risalita del PSA può indicare di solito una recidiva o una metastasi, ma non esiste, per ora, una dimostrazione che questo sia utile rispetto alla scoperta della recidiva o della metastasi quando diventa clinicamente evidente. Molte incertezze esistono anche per i tumori del polmone, della mammella, dell'ovaio. Per il cancro del colon invece si è dimostrato che l'uso dei marcatori permette la scoperta di una recidiva precoce ed è in grado di influenzare la mortalità: si consiglia di controllare il CEA ogni 4 mesi circa.
I markers vengono anche usati per monitorare la risposta alla terapia. Così, se in corso di trattamento, chemioterapico si assiste ad un aumento del marcatore è probabile che la terapia sia poco efficace; per contro la riduzione del marcatore non indica obbligatoriamente terapia efficace (in questo caso la valutazione dell'efficacia del trattamento deve basarsi soprattutto sul quadro clinico). E' importante però ricordare che solo variazioni significative del valore del marcatore (dell'ordine del 50% o più rispetto a valori precedenti) hanno importanza clinica, mentre variazioni di lieve entità possono dipendere da molti fattori, comprese le metodiche di laboratorio usate per il dosaggio, e sono in genere prive di significato clinico. Per questo motivo è preferibile, se possibile, dosare il marcatore sempre nello stesso laboratorio ed essere sicuri che vengano usati standard di qualità.
Alcuni markers tumorali, poi, sono utili per valutare la gravità del tumore oppure la probabilità di risposta a determinati trattamenti. (esempio)
Renato Rossi
http://www.pillole.org/
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